Sui giornali è uscita una notizia che ha fatto scalpore, un’azienda del ricco e opulento Nord Est, un’azienda del bergamasco, di quelle valli di antica e recente tradizione industriale, ha deciso di chiudere i suoi uffici al Nord e di trasferirsi in Sicilia. È la classica notizia che piace ai giornali: è la storia della persona che morde il cane (si dice che un cane che morde una persona è una non notizia, essendo cosa abituale e quindi non viene pubblicata. Una persona che morde un cane invece è un’anomalia, e quindi merita di finire sul giornale). Ebbene questa è esattamente una notizia contro corrente: invece di abbandonare il povero Sud privo di infrastrutture e povero di mercato, un’azienda del Nord, senza contributi e agevolazioni, va nel profondo Sud perché c’è una ricchezza che dove risiede finora non si trova. Qual è questa ricchezza? Il lavoro e la disponibilità dei giovani meridionali a fare un lavoro che i bergamaschi non vogliono fare.
Il lavoro nei call center (ma è meglio dire contact center) è considerato, evidentemente, un lavoro inadatto a chi ha mille altre opportunità, magari di andare a fare l’operaio in una ditta meccanica. Ma davvero è meglio stare otto ore alla catena di montaggio, piuttosto che fare un lavoro commerciale al telefono, assistito da tecnologie all’avanguardia e con la possibilità di costruirsi un progetto formativo? Certo, non tutte le aziende sono uguali, e si possono trovare nel settore della consulenza telefonica grandi realtà professionali (vedi ad esempio l’Accueil di Reggio Calabria, con sedi in mezzo Sud) e piccole realtà che fanno sfruttamento. Ma questo riguarda tutti, metalmeccanici e contact center. E i giovani del Sud hanno le stesse aspirazioni e gli stessi bisogni di quelli del nord, solo avrebbero bisogno di più opportunità. Quindi benvenuta al Sud, azienda lombarda, siamo sicuri che troverà il personale di qualità che merita. E siamo sicuri che troverà un ambiente fatto di concorrenti di qualità con i quali confrontarsi.
E invece i giovani del Nord opulento potranno divertirsi con il lavoro in fabbrica, con ritmi da sfruttamento e con fatiche e routine ben peggiori del lavoro commerciale, sempre vario, a contatto con le persone, capace di offrire stimoli e opportunità. Ma si tratta di lavoro sicuro, dice qualcuno. Certo, fintanto che l’azienda non va in crisi per l’arrivo di qualche novità tecnologica che la mette fuori mercato, o perché la gestione è stata inadeguata e il management non è stato all’altezza. O, più semplicemente, cosa che avviene sempre più spesso, perché l’azienda decide di delocalizzare, cioè di andare a produrre in qualche altro luogo del mondo dove il costo del lavoro è più basso. E dopo? Che farà un operaio che non sa fare altro? Troverà un’altra azienda? Si dovrà accontentare di lavoretti? Invece chi avrà imparato un lavoro da venditore, un lavoro commerciale, avrà imparato una professione che potrà spendere ovunque, perché di venditori, telefonici o di persona, ci sarà sempre bisogno, mentre un operaio può essere sostituito da un robot, da un lavoratore che vive in un altro paese, da qualcuno che è disposto a lavorare con uno stipendio inferiore.